Corte Costituzionale

Corte Costituzionale

Corte Cost. Sent. n. 58 pubbl 24 apr 2025

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 143, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevede che siano anticipati dall’erario gli onorari e le spese spettanti al difensore d’ufficio del genitore insolvente nei processi di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia).

Corte Cost. Sent. n. 39 pubbl 10 apr 2025

Straniero - Immigrazione - Trattenimento, disposto dal questore, dello straniero presso un centro di permanenza per i rimpatri (CPR) - Convalida o proroga del trattenimento da parte dell’autorità giurisdizionale - Ricorso per cassazione contro i decreti di convalida e di proroga - Disciplina - Denunciata previsione, tramite il rinvio all’art. 22, c. bis, quarto periodo, della legge n. 69 del 2005 (concernente la procedura per l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo), che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori, in tal modo affidando alla creazione dell’autorità giudiziaria l’individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione - Indeterminatezza delle scansioni del procedimento nelle quali ospitare il necessario contraddittorio delle parti, a fronte della prevista applicabilità della disciplina relativa ai procedimenti per l’esecuzione di mandati di arresto europeo non caratterizzati da profili di “consensualità” - Inapplicabilità del modello processuale ordinario di cui all’art. 611 codice di procedura penale - Preclusione della possibilità della partecipazione dei difensori all’udienza - Denunciata possibilità per le parti di trasmettere memorie senza che sia disciplinato il diritto delle controparti di averne contezza - Violazione del principio del giusto processo, con riguardo al principio del suo svolgimento nel contraddittorio delle parti - Pregiudizio della garanzia della disciplina legale affermata anche in via convenzionale - Lesione del diritto di difesa.

Norme impugnate: Art. 14, c. 6°, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come modificato dall'art. 18 bis, c. 1°, lett. b), n. 2), del decreto-legge 11/10/2024, n. 145, convertito, con modificazioni, nella legge 09/12/2024, n. 187, richiamato dall'art. 6, c. 5° bis, del decreto legislativo 18/08/2015, n. 142, come introdotto dall'art. 18, c. 1°, lett. a), n. 2), del d.l. n. 145 del 2024, come convertito.

Corte Cost.sent. n. 121 pubbl 4 luglio 2024

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice delegato del Tribunale ordinario di Verona riguardano gli artt. 144 e 146 del d.p.r. n. 115/2002.
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, l'art. 144 del d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, nella parte in cui non prevede l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato della procedura di liquidazione controllata, quando il giudice delegato abbia autorizzato la costituzione in un giudizio e abbia attestato la mancanza di attivo per le spese, e l'art. 146 ivi, nella parte in cui non prevede la prenotazione a debito delle spese della procedura di liquidazione controllata.
Le procedure di liquidazione controllata e di liquidazione giudiziale hanno identica funzione e cioè quella di comporre i rapporti tra creditori e debitore, liquidando il patrimonio di quest’ultimo in attuazione della par condicio creditorum, di guisa che l’effettività della difesa deve essere riconosciuta anche alla procedura di liquidazione controllata che sia sprovvista di attivo per le spese.
La Corte rammenta innanzitutto che, allorché la liquidazione giudiziale sia parte del processo, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato avviene automaticamente, a seguito dell’attestazione, contenuta nel decreto di autorizzazione ad agire o a resistere in giudizio, con cui il giudice delegato dichiara che non è disponibile il denaro necessario per le spese.
Tale automatismo è previsto solo per la liquidazione giudiziale e non anche per la procedura di liquidazione controllata, sebbene quest’ultima rientri nel novero delle procedure concorsuali.
Ebbene, nella liquidazione giudiziale è il giudice delegato che, accertato che la liquidazione non ha capienza, si limita a dichiararlo, essendo la procedura automaticamente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, mentre nella procedura di liquidazione controllata è il giudice della causa, secondo le regole generali, a dover accertare e, conseguentemente, ammettere il patrocinio a spese dello Stato.
“Entrambe le procedure garantiscono l’accesso a misure di carattere esdebitatorio, che rendono inesigibili i debiti rimasti insoddisfatti nell’ambito della procedura, così da consentire al debitore l’utile ricollocamento «all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato»”….quindi, “per l’ omogeneità degli interessi perseguiti, l’effettività della difesa in attuazione dell’art. 24 Cost. deve essere riconosciuta anche alla procedura di liquidazione controllata che sia sprovvista di attivo per le spese, dovendo essa, comunque, assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori.
” E ciò perché l’accesso al patrocinio a spese dello Stato serve a rimuovere “le difficoltà di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa”.

Corte Costituzionale sent n. 110 pubbl 25 giu 2024

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 94, comma 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 94, commi 2 e 3, 112, comma 1, lettera c), e 114, comma 1, del d.P.R n. 115 del 2002, sollevata in via subordinata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 «nella parte in cui richiede la prescritta certificazione consolare anche ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea che siano residenti in Italia e lo fossero già nell’ultimo anno per il quale sia maturato l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale», sollevata in via ulteriormente gradata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 79, comma 2, e 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo e terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Corte Cost sent n. 64 pubbl 19 apr 2024

L'art. 133, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 che stabilisce che «[i]l provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio [a spese dello Stato] la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato».
Si censura tale norma nella parte in cui, qualora risulti vittoriosa la parte non abbiente ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, il giudice civile quantifichi le spese processuali dovute a quest’ultimo dal soccombente «secondo i criteri ordinari, in misura piena e quindi superiore rispetto a quella dei compensi dovuti dallo Stato [stesso] al difensore del non abbiente».
Sarebbero violati, oltre l'art. 76 Cost., perché tale previsione contrasterebbe con l’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998), anche gli artt. 3, 23, 53 e 111, secondo comma, Cost.

Ritiene in proposito il rimettente, riportando numerose pronunce in proposito della Corte di Cassazione, che l’obbligo del pagamento di una somma, «corrispondente al valore “pieno” degli onorari», superiore a quella dovuta dallo Stato al difensore della parte non abbiente costituisca, per la differenza tra i due importi, un «prelievo coattivo», traducendosi in una obbligazione di natura tributaria.
Costituitisi l’Avvocatura generale e l'INAIL, trattandosi di giudizio in cui è parte tale istituto.

Il Giudice delle leggi rileva innanzitutto la inammissibilità della censura formulata in riferimento all’art. 23 Cost., per omessa motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza del prospettato dubbio di legittimità costituzionale.
L’ordinanza di rimessione, infatti, è tutta incentrata sulla considerazione per cui si sarebbe in presenza di un’obbligazione di natura tributaria, mentre omette qualsiasi specifica argomentazione a sostegno del denunciato contrasto con il parametro in discorso, il quale, pertanto, risulta evocato in maniera generica e assertiva (ex plurimis, sentenza n. 161 del 2023).
La questione di legittimità costituzionale per l’eccesso di delega sollevata dal rimettente non è fondata in quanto essa non investe la disposizione in sé considerata, ma la norma che il diritto vivente vi avrebbe tratto, attraverso un mutamento di orientamento a partire dal 2018, stabilendo che il giudice civile condanna la parte soccombente senza «il limite della coincidenza» con i «compensi anticipati dall’Erario all’avvocato della parte gratuitamente difesa».
Il Giudice chiarisce che, in ipotesi, la violazione dell’art. 76 Cost. ben potrebbe manifestarsi anche in riferimento a una norma ricavata dal diritto vivente, dal momento che sarebbe comunque addebitabile al legislatore delegato l’emanazione di una disposizione che, per il suo tenore, legittima un’interpretazione in contrasto con i principi e i criteri direttivi stabiliti dal legislatore delegante. Tale ipotesi, tuttavia, non si verifica nel caso di specie, perché la norma censurata non determina il suddetto contrasto.

Come si è chiarito, secondo la giurisprudenza di legittimità che si è consolidata dopo il 2018, il giudice civile non deve quantificare in misura uguale le somme dovute, ai sensi dell’art. 133, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, dal soccombente allo Stato e quelle dovute, ai sensi degli artt. 82, comma 1, e 130, comma 1, del medesimo d.P.R., dallo Stato stesso al difensore del non abbiente.

In effetto, “l’art. 15-sexies, comma 2, lettera a), della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) – come novellata dalla legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), che ha esteso il patrocinio a spese dello Stato a tutti i giudizi civili, nonché a quelli amministrativi e agli affari di volontaria giurisdizione – disponeva, infatti, che l’ammissione a tale istituto facesse, tra l’altro, sorgere in capo allo Stato il diritto di «ripetizione degli onorari dalla parte contraria, condannata nelle spese».
Anche se il termine «ripetizione» poteva far ipotizzare che questa dovesse essere limitata a quanto in concreto sborsato dallo Stato, la disposizione in esame, tuttavia, non imponeva tale conclusione, poiché non prevedeva espressamente che il giudice fosse tenuto a quantificare tali onorari nella misura ridotta della metà dal successivo art. 15-quaterdecies, comma 1, della medesima legge n. 217 del 1990. Nemmeno l’art. 15-sexiesdecies, comma 1, obbligava a tale coincidenza tra la quantificazione in sede di condanna alle spese e la liquidazione a favore del difensore della parte ammessa al beneficio”.
Infine, le questioni sollevate dal giudice a quo in riferimento agli artt. 3, 53 e 111, secondo comma, Cost. sono basate sulla comune premessa di un’asserita natura tributaria del «prelievo coattivo» che subirebbe il soccombente nel caso in cui la controparte vittoriosa sia stata ammessa al patrocinio gratuito.
La regolamentazione delle spese processuali nel giudizio civile attiene alla regola generale victus victori stabilita dall’art. 91, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui «[i]l giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa» (sentenza n. 77 del 2018).
Nel caso particolare in cui la parte vittoriosa è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, la regolamentazione delle spese di lite attiene quindi a un «rapport[o] distinto[o] e autonom[o]» (sentenza n. 109 del 2022) da quello che sorge per effetto dell’ammissione stessa; quest’ultimo, a cui le parti del giudizio rimangono totalmente estranee, si instaura direttamente tra il difensore del beneficiario del patrocinio e lo Stato, mentre il primo si instaura inter partes, tra soccombente e vincitore, con il giudice che applica gli ordinari criteri di liquidazione delle spese, senza che il medesimo soccombente subisca, a differenza di quanto sostiene il rimettente, alcuna ulteriore effettiva decurtazione.
L’istituto della rifusione delle spese è, pertanto, concettualmente estraneo alla logica propria dell’obbligazione tributaria, che implica, invece, una «effettiva decurtazione patrimoniale» attraverso un «prelievo coattivo, finalizzato al concorso alle pubbliche spese e posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva» (ex plurimus, sentenza n. 128 del 2022).
La Corte ha, quindi, dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, comma 1, del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113, sollevata, in riferimento all’art. 23 della Costituzione e non fondate le questioni di legittimità costituzionale di detto articolo n riferimento agli artt. 3, 53, 76 e 111, secondo comma, Cost.

Corte Cost. sent n. 228 pubbl. 28 dic 2023

Il Giudice delle leggi ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 3 Cost. – dell’art. 79, comma 2, del
d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui prevede che, per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato del cittadino di un paese non appartenente all’Unione europea, la certificazione di cui alla medesima disposizione vada indistintamente richiesta alla autorità consolare, poiché la norma censurata non assegna al consolato il compito di certificare la consistenza patrimoniale del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea e, dunque, non pone un problema di possibile incompetenza di tale autorità sulla base della disciplina del relativo ordinamento, bensì si fonda sul principio di leale collaborazione tra autorità appartenenti a diversi Stati e, su tale presupposto, prevede che il consolato rilasci una certificazione che asseveri la veridicità di quanto indicato nell’istanza.
La norma censurata non richiede che l’autorità consolare rilasci la certificazione sui redditi prodotti all’estero dal cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea.
Viceversa, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 riferisce a tutti i consolati degli Stati non appartenenti all’Unione europea un onere di collaborazione, consistente nell’asseveramento della veridicità di quanto indicato dall’istante, sicché le autorità consolari sono sempre competenti a ottemperare a un tale onere radicato nel principio di leale collaborazione internazionale.

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corte cost. sent n. 167 pubbl. 27 lug 2023

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 145, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui non prevede che anche nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno promosso dal pubblico ministero le spettanze dell’ausiliario del magistrato siano anticipate dall’erario;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 145, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui si riferisce ai soli procedimenti di interdizione e di inabilitazione e non anche a quello di nomina dell’amministratore di sostegno;
3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 145, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui si riferisce ai soli procedimenti di interdizione e di inabilitazione e non anche a quello di nomina dell’amministratore di sostegno.

Corte Costituzionale sent n. 223 pubbl 3 nov 2022

Il giudice rimettente riferisce che dal certificato penale dell’imputato era emerso che, già alla data dell’ammissione al beneficio, egli era stato condannato in via definitiva (con sentenza dello stesso Tribunale di Firenze del 18 aprile 2018, divenuta irrevocabile il 3 settembre 2018) per due reati ex art. 73, comma 5, t.u. stupefacenti, aggravati ai sensi dell’art. 80, comma 1, lettere a) e g), del medesimo testo unico.
Le questioni di legittimità costituzionale investono la fattispecie del reato di cui al comma 5 dell’art. 73 (e non già di tutti i reati da tale disposizione contemplati), aggravata dal successivo art. 80 tout court, secondo la testuale previsione della disposizione censurata, e non già solo quella aggravata dalle specifiche circostanze di cui alle lettere a) e g) del comma 1 dello stesso art. 80.
la ratio della norma censurata, alla stregua di quanto sottolineato dalla sentenza n. 139 del 2010 di questa Corte, risiede nell’«evitare che soggetti in possesso di ingenti ricchezze, acquisite con le attività delittuose […], possano paradossalmente fruire del beneficio dell’accesso al patrocinio a spese dello Stato, riservato, per dettato costituzionale (art. 24, terzo comma) ai “non abbienti”». Tuttavia, detta ratio legis non sussisterebbe almeno rispetto ad alcune fattispecie aggravate del reato previsto e punito dall’art. 73 t.u. stupefacenti, comprese quelle per le quali era stato condannato l’imputato nel processo a quo, ossia quella del comma 5 di tale disposizione, aggravata ex art. 80, comma 1, lettere a) e g), t.u. stupefacenti (cessione di sostanze stupefacenti «di lieve entità» a soggetti minori di età in prossimità delle scuole).
Rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, dovendo il giudice rimettente fare applicazione della disposizione censurata al fine di ritenere la sussistenza, o no, del diritto dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato in ragione della mancanza della prova contraria rispetto alla presunzione di superamento del limite reddituale previsto per l’accesso al beneficio, che l’art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002.
l’art. 73, comma 5, t.u. stupefacenti prevede, oggi, che: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329».

A seguito della novella è ormai consolidato l’assunto secondo il quale la fattispecie prevista dall’art. 73, comma 5, in materia di sostanze stupefacenti, si è trasformata da circostanza attenuante in figura autonoma di reato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 settembre-9 novembre 2018, n. 51063).
Occorre rilevare che la disposizione censurata, nel prevedere una presunzione di superamento dei limiti di reddito per ottenere il patrocinio a spese dello Stato ove il soggetto richiedente sia stato, in precedenza, condannato in via definitiva per i fatti di reato puniti dall’art. 73 t.u. stupefacenti, in presenza di una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 80 del medesimo testo unico, si pone in primo luogo in contrasto, per incoerenza rispetto allo scopo perseguito, con l’art. 3 Cost., nella parte in cui ricomprende nel proprio ambito di applicazione anche i fatti «di lieve entità», di cui al comma 5 dello stesso art. 73.
Le circostanze aggravanti elencate dal comma 1 della disposizione dell'art. 80 – se si connotano, come quelle in rilievo nel giudizio a quo, per la spiccata riprovevolezza della condotta del soggetto agente – non sono ex se suscettibili di incidere sul profitto tratto dall’attività delittuosa.
Il “piccolo spaccio” – quello del comma 5 dell’art. 73 citato – appare spurio e, quand’anche aggravato ai sensi dell’art. 80, è privo dell’idoneità ex se a far presumere un livello di reddito superiore alla (peraltro non esigua) soglia minima dell’art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Il principio di ragionevolezza è leso «quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata» (sentenze n. 195 e n. 6 del 2019; nello stesso senso, più di recente sentenza n. 125 del 2022).

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Corte Cost. ord.za n. 206 pubbl. 4 ott. 2022

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.

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Corte Costituz. sent. n. 166 pubbl. 1 lug 2022

viene dichiarata, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 130 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, secondo il quale, in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, gli importi spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato, sono ridotti della metà, poiché il mancato funzionamento del meccanismo di equilibrio insito nell’art. 54 del D.P.R. n. 115/2002 recide la necessaria correlazione tra il compenso per l’ausiliario del magistrato ed i valori di mercato, così facendo venir meno quel rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, che è alla base della ragionevolezza della scelta legislativa.

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