Corte di Cassazione

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Cass. Sez VI civ ord. n. 4510 pubbl 11 feb 2022

i ricorrenti hanno chiesto la correzione dell'errore materiale comparente nel dispositivo della richiamata ordinanza nella parte in cui questa Corte ha disposto la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore "dei controricorrenti", senza
specificare che dette spese avrebbero dovuto essere corrisposte in favore dello Stato, come previsto dall'art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002, risultando il Pinto e la Torrente entrambi ammessi al patrocinio a spese dello Stato......
…....la parte soccombente non ammessa al patrocinio a spese dello stato, se condannata al pagamento delle spese processuali in favore della parte ammessa, deve effettuare il versamento in favore dello Stato, sicché, ove esso venga disposto, erroneamente, in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il dispositivo della sentenza può essere corretto mediante il procedimento di correzione dell'errore materiale (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4216 del 19/02/2020, Rv. 657022 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15817 del 12/06/2019, Rv. 654311 - 01)

Cass. Sez VI civ ord. n. 3799 pubbl. 7 feb 2022

il Tribunale di Catanzaro, decidendo sull’opposizione ex art.170 DPR 115/2002 proposta dalla ditta “Eredi Castiello s.r.l” avverso la liquidazione del compenso per l’attività di custodia adottato dal
Pubblico Ministero, accolse il ricorso in quanto il provvedimento impugnato era privo di motivazione ed il compenso era irrisorio;
il giudice dell’opposizione, con ordinanza del 4.1.2021, annullò il decreto senza provvedere alla determinazione del compenso, rimettendo gli atti al Pubblico Ministero
Il ricorso, ai sensi della L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11, comma 5, avverso la liquidazione del compenso ai periti e consulenti tecnici, non è atto di impugnazione, ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito, anche alla stregua delle regole di cui al richiamato della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 29, sugli onorari di avvocato e procuratore, ha il potere - dovere di verificare la correttezza di detta liquidazione in base ai criteri legali.
Ne discende che la valutazione del giudice del procedimento di opposizione non è limitata alla verifica della correttezza formale del decreto opposto, ma investe anche la correttezza sostanziale
della liquidazione, ben potendo quindi supplire alle eventuali carenze motivazionali del decreto di liquidazione, e senza che ciò determini l'illegittimità della decisione che in tale sede ponga
rimedio con le proprie motivazioni alle carenti indicazioni del primo giudice.
Trattasi quindi di un procedimento a carattere interamente devolutivo che impone quindi un'integrale rivisitazione della liquidazione, con la necessità di una nuova valutazione, sebbene
con il menzionato limite della non eccedenza della decisione rispetto a quanto richiesto dall'ausiliario, non essendo dato quindi addivenire alla mera declaratoria di invalidità del provvedimento per carenza della motivazione, ma dovendo il giudice dell'opposizione invece autonomamente motivare, ancorchè per relationem con rinvio a quanto esposto nel decreto (laddove
invece il decreto sia munito di adeguata motivazione), sul perchè la liquidazione debba essere compiuta in un certo importo
…..............cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Catanzaro in persona di altro Magistrato.

Cassaz. Sez. I pen. sent. n. 3591 pubbl 1 feb 2022

la Corte ha sostanzialmente legittimato una particolare modalità di utilizzo del captatore informatico, il c.d. trojan, ovvero la possibilità di eseguire gli screenshot dei file aperti dall’utente-intercettato e su cui quest’ultimo sta, eventualmente, lavorando, sull’assunto che tali file sarebbero espressione di un comportamento comunicativo e, proprio in quanto tali, legittimamente intercettabili per via telematica, previa autorizzazione del Giudice di fase.

Cass sez IVpen sent. n. 3306 pubbl. 31 gen 2022

Natale Imperiale ricorre avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Castrovillari, in data 24/3/2020, ha rigettato il ricorso ex art. 99 Dpr. 115/02 proposto avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Castrovillari il 31/7/2019 ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato proposta nel procedimento penale n. 1681/19 R.G.N.R. - 1409/19 R. G.I.P. assumendo che il tribunale calabrese sarebbe incorso in errore nel ritenere inammissibile la domanda di ammissione a gratuito patrocinio depositata dal ricorrente in data 19 maggio 2019, sul presupposto che il medesimo, pur avendo già depositato presso la competente Agenzia delle Entrate il modello 730/2019 relativo ai redditi del 2018, avrebbe dovuto indicare nell'istanza i redditi relativi all'anno 2017, non essendo ancora decorsi i termini per presentare la dichiarazione dei redditi per l'anno 2018, che poteva essere presentata nell'arco temporale 15 aprile-23 luglio 2019.

Secondo la Corte l'"ultima dichiarazione", rilevante per l'individuazione del reddito, ai fini dell'ammissione al beneficio, a norma dell'art. 76 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, é quella per la quale è maturato, al momento del deposito della istanza, l'obbligo di presentazione (così Sez. 4, n. 7710 del 05/02/2010, Varane ed altro, Rv. 246698; conf. Sez. 4, n. 15694 del 17/01/2020).
La ratio della norma risiede nell'ancorare l'ammissione al beneficio costituito dal patrocinio a spese dello Stato a un dato reddituale cronologicamente vicino al momento della presentazione dell'istanza ex art. 79 d.P.R. n 115 del 2002.

Cass. Sez IV pen sent. n. 852 pubbl. 13 gen 2022

Afferma il Tribunale di sorveglianza (p. 2) che non risulta che la parte abbia adempiuto all'obbligo di notifica del ricorso all'amministrazione finanziaria, richiamando precedente di legittimità (indicato come Sez. 4 del 17/11/2015).
Quanto al tema della notifica all'Agenzia delle entrate tramite deposito all'Ufficio matricola, l'ordinanza impugnata ha trascurato il seguente principio di diritto, cui occorre dare senz'altro continuità:
Sez. 4, n. 52872 del 15/11/2016, Attanasio, Rv. 268686: «L'incombente, previsto a pena di inammissibilità, della notifica all'ufficio finanziario del ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è validamente adempiuto dal soggetto impugnante, che si trovi detenuto, mediante la richiesta all'ufficio matricola della casa circondariale di provvedere alla trasmissione all'ufficio finanziario delle copie del ricorso»;
Sez. 4, n. 5045 del 10/11/2010, dep. 2011, Antonov e Min Econ., Rv. 249564: «L'incombente, previsto a pena di inammissibilità, della notifica all'ufficio finanziario del ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 99, comma secondo, d.P.R.30 maggio 2002, n. 115) è validamente adempiuto dal soggetto impugnante,
che si trovi detenuto, mediante la richiesta all'ufficio matricola della casa circondariale di provvedere alla trasmissione all'ufficio finanziario delle copie del ricorso. (Nella specie la Corte, nel precisare che tale richiesta è atto equipollente alla notifica, ha annullato senza rinvio l'ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l'istanza per la mancata notifica all'ufficio finanziario del ricorso da parte del detenuto)».

Cass. Sez IV pen sent. n. 483 pubbl. 12 gen 2022

Il Tribunale dì Taranto ha respinto l'impugnazione avverso il decreto con il quale il giudice penale aveva rigettato la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso per Cassazione per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 76 e 96 co. 2 del Dpr. 115/2002 dal momento che erano state adoperate, per il rigetto, presunzioni generiche per calcolare il reddito (reati contro il patrimonio) che risultavano del tutto scollegate dalla realtà.
I motivi appaiono fondati.
Premesso che il principio di diritto applicato dai due giudici di merito appare del tutto coerente con la giurisprudenza di codesta Corte di legittimità, gli stessi erano chiamati a valutare se, effettivamente, i reati commessi nel tempo dal Carlino avessero potuto incidere sul suo patrimonio al momento della istanza del 2018 (quindi in riferimento a reati contro il patrimonio, come da casellario, ben dodici anni dopo e in riferimento ad altri reati circa 10 anni dopo).
Ebbene, la valutazione in questione offerta dal provvedimento impugnato appare generica.
E' vero che ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato si deve tenere conto anche dei redditi da attività illecite percepiti dall'istante, la cui esistenza può essere provata anche ricorrendo a presunzioni semplici, ma l'indicazione, ad opera della legge, di un limite reddituale al di sotto
del quale l'imputato ha diritto al beneficio, impone al giudice di indicare sulla scorta di quali elementi si possa ritenere superata tale soglia (Sez. 4, n. 44900 del 18/9/2018, Rv. 274271: qui si ebbe a disporre l'annullamento con rinvio in quanto l'ordinanza aveva desunto l'insussistenza del requisito reddituale esclusivamente dalla presenza di precedenti penali, per reati contro il patrimonio, a carico del ricorrente, omettendo di considerare che l'unico precedente risalente all'anno di riferimento era un delitto tentato, da cui il ricorrente non aveva tratto reddito).
Invero, ancora di recente si è condivisibilmente precisato che, in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il mero riferimento alla sussistenza di numerosi precedenti penali contro il patrimonio non consente di fondare la presunzione di non meritevolezza del beneficio, ma è necessario che il giudice espliciti le ragioni per le quali l'istante debba ritenersi percettore di redditi,
seppur non dichiarati e di provenienza illecita, attraverso il confronto tra il tenore di vita dello stesso e le dichiarazioni fiscali (Sez. 4, n. 15338 del 30/1/2020).

Cass sez IV pen sent. n. 418 pubbl. 11 gen 2022

Istanza presentata, in data 18/3/2013, di ammissione al patrocinio a spese dello Stato autocertificando che il reddito familiare per l'anno 2012 era pari a zero.
Gli accertamenti compiuti presso l'Anagrafe Tributaria - dei quali ha riferito in dibattimento il Direttore dell'Agenzia delle Entrate di Velletri - hanno evidenziato che il padre dell'imputato aveva percepito per l'anno d'imposta 2012 un reddito imponibile di 20.800,91.
Risulta violato il chiaro disposto dell'art. 76, co.3 DPR 115/2002, che nell'indicare le condizioni di ammissione al gratuito patrocinio, non fa riferimento solo al "red#dito imponibile ai fini dell'imposta personale ... risultante dall'ultima dichiara#zione", bensì anche ai "redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva ". E del resto la Corte costituzionale, già
con la sentenza n. 382 del 1985, nell'affrontare la problematica dei limiti di reddito per il patrocinio a spese dello Stato, ha precisato che "nella nozione di reddito, ai fini dell'ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le ri#sorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, - pur non rilevando agli effetti del cumulo - potranno essere
computati come redditi direttamente imputabili all'interessato, ove in concreto ac#certati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 cod. civ., quali il tenore di vita ecc. ".
Tale indirizzo interpretativo è stato più volte confermato da questa Corte di legittimità, che ha chiarito come, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la determinazione dei limiti di reddito, rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione: ne consegue che rilevano anche i redditi da attività illecite ovvero i redditi per i quali
l'imposizione fiscale è stata esclusa" (ex plurimis, Sez. 3, n. 25194 del 31.3.2011, Brina, rv. 250960, in un caso in cui l'imputato aveva falsamente dichiarato i redditi familiari nell'istanza di ammissione al patrocinio, omettendo in particolare di indi#care le somme percepite, rispettivamente, dal padre, a titolo di TFR e, dalla sorella, a titolo di indennità di disoccupazione; conf. Sez. 4 n. 36362/2010; Corte Cost.sent. n. 144 del 1992).
Questa Corte di legittimità ha chiarito che ai fini della determinazione del li#mite di reddito per l'ammissione al beneficio, vanno calcolati tutti i redditi, com#presi quelli soggetti a tassazione separata (così questa Sez. 4, n. 44140 del 26/9/2014, Seck, Rv. 260949 in relazione ad emolumenti percepiti a titolo di ar#retrati di lavoro dipendente; conf. Sez. 4, n. 41271 del 11/10/2007).

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Cass. Sez. VI civ ord. n. 41774 pubbl. 28 dic 2021

Il Tribunale di Bari con ordinanza del 26/07/2019 confermava il provvedimento impugnato, ritenendo corretto il rilievo d’ufficio della prescrizione presuntiva, avendo la ricorrente agito per la liquidazione dei compensi a distanza di oltre tre anni dalla definizione del giudizio nel quale aveva svolto attività difensiva.
Rileva la ricorrente che erroneamente è stata rilevata d’ufficio la prescrizione presuntiva del credito vantato dall’opponente, in spregio di quanto previsto per la prescrizione dall’art. 2938 c.c. che prevede che trattasi di eccezione in senso stretto, con una disposizione ritenuta applicabile anche alla prescrizione presuntiva.
Rileva il Collegio che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui anche le prescrizioni presuntive sono sottoposte al divieto del rilievo d’ufficio da parte del giudice (cfr. Cass. n. 5959/1996), essendosi altresì precisato che l’eccezione debba essere specifica, non potendosi a tal fine estendere l’eccezione di prescrizione estintiva alla diversa ipotesi della prescrizione presuntiva (cfr. Cass. n. 16486/2017).
La natura pubblica del debitore non appare quindi idonea ad incidere su tale regola, dovendosi quindi ritenere erronea la soluzione alla quale è pervenuto il giudice di merito, occorrendo
altresì rilevare che quanto alla deducibilità dell’eccezione da parte del debitore, inizialmente non partecipe del procedimento di liquidazione, la stessa sia assicurata tramite il rimedio dell’opposizione, una volta che il decreto di liquidazione sia stato portato a conoscenza del debitore per l’esecuzione.
Del pari meritevoli di accoglimento appaiono le deduzioni della ricorrente quanto all’incompatibilità a monte tra l’eccezione di prescrizione presuntiva ed il credito oggetto di causa.
Ed, infatti, come già rilevato da questa Corte nella pronuncia n. 30539/2017, avente ad oggetto la richiesta di un avvocato che aveva svolto la propria attività professionale a favore di un collaboratore di giustizia, con i relativi oneri a carico del Ministero dell’Interno, l’istituto de quo è inapplicabile nei casi in cui il credito sia vantato nei confronti di un’amministrazione dello
Stato e più precisamente nei confronti di un Ministero.
A tal fine, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che (cfr. Cass. n. 1304/1995) la presunzione di pagamento prevista dagli articoli 2954, 2955 e 2956 cod. civ. va applicata solo a quei rapporti che si svolgono senza formalità, in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazione né rilascio di quietanza scritta e non opera quando il diritto, di cui si chiede il pagamento, scaturisce da un contratto stipulato per iscritto. Di conseguenza esula dalla previsione della norma di cui all'art. 2956 n. 2 cod. civ. il credito verso un Comune nascente da contratto scritto, atteso che detto ente, a norma degli artt. 324 e 325 del R.D. 3 marzo 1934 n. 383 può effettuare pagamenti soltanto mediante mandati, tramite il proprio tesoriere, che esige quietanza per ogni pagamento (conf. Cass. n. 244/1971).
Nella fattispecie, essendo il credito vantato nei confronti del Ministero, sottoposto all’applicazione delle regole di contabilità pubblica di cui all’art. 55 del r.d. n. 2440 del 1923 e del regolamento di contabilità di cui al r.d. n. 827 del 1924, ciò implica che i pagamenti debbano essere improntati ad un rigido formalismo, e che pertanto anche il pagamento in oggetto, in quanto previsto dal d.l. n. 8 del 1991 come posto a carico del Ministero convenuto, non poteva prescindere dalla formale
emissione di un mandato di pagamento.
Il rigore formale imposto dalla normativa richiamata costituisce quindi elemento idoneo ad escludere l’invocabilità della previsione di cui all’art. 2956 c.c. la cui ratio si presenta come
incompatibile rispetto alle puntuali ed inderogabili prescrizioni di legge in materia di pagamento di debiti dello Stato.
Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: In caso di crediti vantati nei confronti dell’Amministrazione dello Stato, attesa la necessità di fare applicazione delle regole di contabilità pubblica anche in relazione ai pagamenti, dovendosi a tal fine provvedere mediante appositi mandati di pagamento, non è possibile invocare la prescrizione presuntiva (conf. Cass. n. 29543/2019).

Cass. Sez VI civ ord. n. 41766 pubbl. 28 dic 2021

Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione, ritenendo che dalla documentazione prodotta non era dato verificare la concreta incidenza dell’attività professionale rispetto alla difesa dell’imputato, mancando una serie di atti (convalida dell’arresto, eventuale provvedimento di applicazione di misure cautelari, provvedimento che ha definito il giudizio, la stessa imputazione) a tal fine fondamentali, così che il compenso liquidato ben poteva reputarsi congruo.
Il primo motivo è fondato.
Ed, invero, pur dovendosi ribadire che (cfr. Cass. n.1470/2018) il ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del magistrato, nel regime introdotto dall'art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 - come già nella vigenza della l. n. 319 del 1980 - non è atto di impugnazione,
ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso, nel quale il giudice adito ha il potere-dovere di verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell'istante - con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, in applicazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c. - e di regolare le spese secondo il principio della soccombenza, il procedimento previsto dal legislatore non consente una rigida applicazione del principio dell’onere della prova.
E’ stato, infatti, reiteratamente affermato da questa Corte che (cfr. Cass. n. 2206/2020; Cass. n. 4194/2017) in tema di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso al CTU, il giudice di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011 ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, essendo la locuzione "può" contenuta in tale norma da intendersi non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere/dovere di decidere "causa cognita", senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova (conf. Cass. n. 19690/2015).
Alla luce di tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, si palesa evidentemente erronea la soluzione del giudice di merito il quale ha ritenuto di disattendere la domanda di integrazione della liquidazione della ricorrente solo perché non risultavano essere stati prodotti una serie di atti processuali che avrebbero permesso di verificare l’incidenza della condotta della ricorrente rispetto alla posizione processuale della parte difesa, atteso che, dovendo il giudice procedere autonomamente all’individuazione delle somme eventualmente dovute al difensore della parte ammessa al patrocinio statale, senza essere vincolato dalle indicazioni della parte, ma verificando sia l’an che il quantum, in relazione a tale secondo aspetto si imponeva in ogni caso la
richiesta degli atti, dei documenti e delle informazioni necessarie ai fini della decisione, non potendo quindi arrestare la propria valutazione al mero riscontro dell’assenza in atti dei
documenti indicati.
Deve, invero, ritenersi che i poteri istruttori officiosi che connotano il procedimento di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice e dei difensori delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato, accedano non solo alla determinazione del quantum ma anche alla verifica dell’an
(cfr. in tal senso Cass. n. 9264/2015).

Cass. Sez VI civ. ord.n.41681 pubbl. 27 dic.2021

Il Tribunale di Velletri ha rigettato la richiesta di liquidazione dei compensi maturati per la difesa d’ufficio dell’imputato.
Il Tribunale adito rigettava l’opposizione con ordinanza del 18 luglio 2019, ritenendo assorbente il rilievo secondo cui, pur potendosi assimilare l’irreperibilità di fatto a quella dichiarata dal giudice penale ai fini dell’applicazione dell’art.115 TUSG, tuttavia non era stato dimostrato che al momento
in cui la pretesa creditoria è divenuta azionabile, e cioè alla data dell’ultima udienza nel processo penale (14/3/2018), fosse restata immutata la condizione di irreperibilità del Capozzi, atteso che una missiva inviata dal difensore risaliva al 2012 e che il verbale di vane ricerche dei militari recava la
data del 2016.
Questa Corte ha in passato già affermato che (Cass. n.17021/2010) in tema di patrocinio a spese dello Stato, relativo ad imputato od indagato irreperibile, la condizione di irreperibilità del patrocinato, alla quale l'art. 117 del d.P.R.30 maggio 2002, n. 115 subordina la liquidazione degli
onorari e delle spese di difesa a carico dell'Erario, afferisce ad una situazione sostanziale e di fatto (indipendente dalla pronuncia processuale di irreperibilità emessa ai sensi degli artt. 159 e 160 cod. proc. pen.) che, rendendo il debitore non rintracciabile al momento in cui la pretesa creditoria
diventa azionabile, impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale (conf. Cass. n. 8111/2014).
Ne deriva altresì che, una volta affermata tale rilevanza sostanziale e fattuale della condizione di irreperibilità, alla fattispecie può trovare applicazione il principio affermato da Cass. n. 20967/2017, che ha sostenuto che in tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora l'autorità giudiziaria abbia dichiarato l'irreperibilità dell'indagato, dell'imputato o,come nella specie - del condannato, il relativo difensore d'ufficio, che abbia richiesto la liquidazione dei compensi per l'attività professionale svolta, ex art. 117 del d.P.R. n. 115 del 2002, non ha l'onere di provare la persistenza di tale irreperibilità (conf. Cass. 34888/2021).

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