Corte di Cassazione

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Cass. Sez IVpen sent.n. 29384 pubbl 25 lug 2022

Il Tribunale di Crotone ha rigettato l'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 99 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, avverso il decreto del Tribunale con il quale era stata dichiarata inammissibile, ai sensi dell'art. 79 comma 3 DPR 115/2002, l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in quanto tardiva, ovvero proposta oltre il termine di venti giorni dalla notizia dell'inammissibilità
dell'istanza, oltre che infondata nel merito, in quanto nel termine indicato nella richiesta di integrazione l'istante aveva presentato solo la certificazione reddituale dell'agenzia delle entrate relativa ai suoi redditi e non anche ai redditi dei famigliari conviventi.
“Si deve innanzitutto premettere che il provvedimento con cui l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello stato viene dichiarata inammissibile può essere impugnato, ex art. 99 d.P.R. n.115/2002, con ricorso al Presidente del Tribunale al quale appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento, al pari del provvedimento di rigetto.
L'art. 99 stabilisce, invece, che avverso il provvedimento con cui il magistrato rigetta l'istanza di ammissione, l'interessato può proporre ricorso entro venti giorni dalla notizia avutane ai sensi dell'art. 97, davanti al presidente del tribunale o al presidente della corte di appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di rigetto: anche il provvedimento di inammissibilità può formare oggetto di ricorso ex art. 99 d.P.R.115/2002: rilevano in tal senso, in primo luogo, il fatto che il provvedimento di inammissibilità, al pari di quello di rigetto e accoglimento, deve essere motivato e comunicato al soggetto istante e soprattutto un argomento di ordine sistematico collegato alla necessità di non creare un irragionevole vuoto di tutela nelle ipotesi in cui il decreto di inammissibilità sia illegittimo. Se è vero, infatti, che l'istanza dichiarata inammissibile può sempre essere riproposta al giudice competente (in quanto la dichiarazione di
inammissibilità non risolve una questione relativa alla esistenza del diritto alla ammissione al patrocinio a spese dello tato, ma si limita ad indicare un adempimento necessario che non era stato adempiuto), è altrettanto vero che in tali casi l'ammissione al patrocinio decorrerebbe dalla data di presentazione della nuova istanza, con la conseguenza che l' eventuale attività difensiva già espletata non sarebbe liquidabile; attraverso l'impugnazione del provvedimento di inammissibilità, nel caso di accoglimento, invece gli effetti della ammissione decorrono dalla prima istanza con la conseguenza che tutta l'attività difensiva posta in essere nel frattempo potrà essere oggetto di liquidazione.
Si tratta, dunque, di stabilire, quale sia il termine entro cui il ricorso deve essere presentato.
Lart. 99, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 prevede espressamente che il ricorso debba essere presentato nel termine di venti giorni decorrente dalla notizia avuta del provvedimento a norma dell'art. 97. L' art. 99, comma 3, d.P.R. n. 115/2002, tuttavia, opera, quanto alla procedura, un rinvio al processo speciale previsto per gli onorari di avvocato: tale processo era originariamente disciplinato dagli artt. 28 e ss. della legge 13 giugno 1942 n. 794, per il quale le Sezioni Unite penali avevano ritenuto che, per le fasi non specificamente disciplinate, il relativo sub-procedimento dovesse ritenersi regolato dalle disposizioni generali previste dall'ordinamento per il procedimento principale con il quale si trovava in rapporto di incidentalità (Sez.U. n. 30181 del 25/04/2004 Graziano, Rv 228118).
Oggi invece il processo è regolato dagli artt. 702 bis e ss. cod. proc. civ, cui rinvia l'art. 15 d.lgs 1 settembre 2011 n. 150 che ha tipizzato i procedimenti relativi alla liquidazione degli onorari di avvocato. In seguito alla entrata in vigore della nuova normativa, alcune sentenze di questa Sezione hanno affermato che il principio sopra richiamato espresso dalle Sezioni Unite sia ancora valido. Si è, cosi, sostenuto che ai fini della proposizione del reclamo ai sensi dell'art.99 d.P.R. n.115/2002, sia sufficiente la dichiarazione di nomina del difensore e non occorra la procura speciale ex art.122 cod. proc. pen. (Sez. 4 n. 48793 del 9/10/2019, Morello, Rv 277420; Sez 4 n. 15197 del 1/02/2017 Diop, non mass; Sez 4 n. 13230 del 27/01/2022, Galloni, non mass.) e si è ribadita la divaricazione del rito che assiste l'opposizione proposta avverso il decreto di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso nell'ambito di un procedimento penale, da quello avverso il decreto di liquidazione del compenso al custode o all'ausiliario del giudice, confermando che fondamento di tale differenza risiede nell'accessorietà della prima controversia al processo penale. (Sez. 4, n. 1223 del 16/10/2018, dep.2019, Mucci, Rv. 274908).
Il Collegio ritiene di confermare tale orientamento interpretativo, osservando che il richiamo presente nell'art.99, comma 3, d.P.R. n.115/2002 al processo «speciale» previsto per gli onorari di avvocato non esclude che per il procedimento di cui si tratta si debba tenere conto, della natura di
«procedimento collaterale e secondario rispetto al rapporto processuale penale principale, di cui è indiscutibilmente una procedura accessoria, intesa a garantire la difesa del soggetto nel giudizio penale di cognizione ordinaria».
Tale principio deve vieppiù essere confermato con riferimento al tema oggetto di esame, ovvero al termine entro il quale deve essere proposto il ricorso. Lo stesso art. 99, comma 1, d.P.R. n.115/2002, come visto, prevede che il ricorso debba essere proposto nel termine di venti giorni decorrente dalla
comunicazione del provvedimento di rigetto (o inammissibilità), sicché il richiamo operato dal successivo comma 3 al processo speciale per gli onorari di avvocato non opera certamente con riferimento a detto termine, così come con riferimento ad altri aspetti per i quali devono valere le regole del processo penale principale cui il procedimento in esame, collaterale e secondario, accede.
La decisione del Tribunale di Crotone è stata, dunque, corretta e conforme ai principi sopra enunciat e, pertanto, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Cass sez IVpen sent n. 28249 pubbl. 19 lug 2022

L'omessa indicazione di una parte del reddito nell'istanza con cui si chiede il gratuito patrocinio non giustifica la revoca del beneficio se computando il reddito omesso non viene superata la soglia per l'ammissione.

Nella decisione annullata, che ha disposto la revoca ex tunc a norma dell'articolo 95 del Dpr 115/2002 (non era stato, infatti, indicato dall'istante il reddito del figlio rientrante nel suo nucleo familiare).la norma posta a base della revoca non ha rilevanza immediata nel far venir meno i presupposti del beneficio, ma persegue la falsità dell'autocertificazione reddituale. E la revoca con effetti ex tunc del beneficio e di quanto fino ad allora percepito scatta con la definitività dell'accertamento penale sulla condotta.

Quindi se - come nel caso concreto - a seguito di rapporti della Guardia di Finanza, risultano fonti di reddito non comprese nella dichiarazione sostitutiva resa dall'istante va valutato se sommate, a quanto invece dichiarato, determinino o meno il superamento della soglia di ammissione al gratuito patrocinio. Se tenuto conto dei redditi occultati consapevolmente o inconsapevolmente non c'è sforamento della soglia massima stabilita. i presupposti per aver diritto all'ammissione al gratuito patrocinio non possono considerarsi de plano venuti meno.
Si legge nella sentenza:
…..”deve preliminarmente osservarsi che la decisione impugnata compie una sorta di sovrapposizione fra la disciplina per l'ammissione al beneficio (o per la sua revoca) e quella che punisce il reato di falso, contenuta nell'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002.
….................La revoca prevista dall'art. 95, comma 2. d.P.R. cit., conseguente alla condanna
per il reato di falsità nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall'art. 79, comma 1, lett. b), c) e), implica, infatti, l'irrevocabilità della sentenza che accerta il delitto.
…..................Va ora rilevato che, in base all'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte,
in tema di patrocinio a spese dello Stato, la falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 115 del 2002, non comporta, qualora i redditi effettivi non superino il limite dí legge, la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R. n. 115 del 2002 (Sez. U, n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, Rv. 278871).
…..............Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che «la soluzione adottata è del resto coerente con la ratio dell'istituto del gratuito patrocinio, il cui fondamento è costituito dalla tutela del diritto inviolabile alla difesa per la persona sprovvista di mezzi economici: all'indagato, all'imputato o al condannato ammessi al gratuito patrocinio è così attribuita la facoltà di scelta di un proprio difensore di fiducia (iscritto all'albo specifico), senza alcun onere economico, con la possibilità di nominare ed utilizzare la prestazione di consulenti tecnici di parte ed investigatori» e che il principio affermato è in linea con le norme costituzionali ed internazionali fondamentali di riferimento, in tema di diritto di difesa e di diritto all'equo processo (artt. 24, 111 Cost., 6 CEDU e 14, par. 3, lett. d), del Patto sui diritti civili e politici).
Secondo le Sezioni Unite la disciplina è volta a tempestivamente esonerare dalle spese di difesa il titolare di redditi posti al di sotto della soglia prevista e «l'esigenza, recessiva rispetto ai canoni costituzionali e di diritto europeo sopra richiamati, di recuperare le somme corrisposte dallo Stato, a fronte di comportamenti non del tutto trasparenti ed affidabili da parte dell'istante, è soddisfatta dalla previsione della revoca dell'ammissione con effetto retroattivo, in conseguenza dell'intervenuta condanna in sede penale, che non può prescindere dall'accertamento dell'elemento soggettivo».
L'omessa indicazione di un reddito nell'autodichiarazione da allegare all'istanza, pertanto, non costituisce di per sé motivo di reiezione, purché il reddito del nucleo sia effettivamente inferiore alla soglia di cui agli artt. 76 e 92 d.P.R. 115/2002. Semmai, quando il giudice che deve provvedere, a seguito delle verifiche degli uffici finanziari, anche ai sensi dell'art. 96, comma 2 d.P.R. cit., ritenga sussistenti gli estremi del reato dì cui all'art. 95 cit., dovrà trasmettere - come disposto nel caso di specie - gli atti al pubblico ministero, ma non potrà laddove non vi sia superamento della soglia stabilita dall'art. 76, negare la provvidenza (Sez. 4, n. 18945 del 27/03/2019, Naccarella Luciano, Rv. 276462)”.

Cassaz. Sez VI civ ord. n. 21021 pubbl 1 luglio 2022

La legittimazione ad impugnare il decreto di rigetto dell’istanza di ammissione e quello di revoca del beneficio già riconosciuto spetta alla sola parte che intendeva avvalersene o che tale revoca ha subito, essendo l’unica titolare del diritto al suddetto patrocinio, e non al difensore, il quale può agire esclusivamente, ove il menzionato beneficio non sia venuto meno, per ottenere la liquidazione del compenso eventualmente ad esso spettante (conf. Cass. n. 21997/2018).

Cass. Sez IIciv ord. n. 20799 pubbl 28 giu 2022

la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che, in tema di patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale, l'impugnativa circa la legittimità del rigetto dell'istanza di ammissione rientra nell'ambito delle competenze delle sezioni penali della Corte di Cassazione, mentre la competenza delle sezioni civili della Corte è riconosciuta esclusivamente in ordine
ai ricorsi che nascono dal procedimento di opposizione al decreto di liquidazione, ai sensi dell'art. 170 del d.P.R. n. 112 del 2002, indipendentemente dalla circostanza che esso sia stato pronunciato in un giudizio penale (Cassazione civile sez. VI, 16/04/2021, n.10136)

Cass. Sez IIciv. ord. n. 19350 pubbl. 16 giu 2022

XX ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso l'ordinanza del Tribunale di Paola del 12 luglio 2017, che ha rigettato l’opposizione proposta avverso il decreto di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato del 7 dicembre 2016.
La revoca era stata giustificata dalla formulazione di istanza di distrazione delle spese ex art. 93 c.p.c. da parte dell’avvocato ZY, difensore di XX.
I primi due motivi di ricorso che denunciano violazione degli art. 136 t.u.s.g. e art. 93 cpc. sono fondati. Uniformandosi al principio enunciato da Cass. Sez.Unite, 26/03/2021, n. 8561, deve infatti affermarsi che la presentazione dell'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non costituisce rinuncia implicita al beneficio da parte dell'assistito, attesa la diversa finalità ed il diverso piano di operatività del gratuito patrocinio e della distrazione delle spese - l'uno volto a garantire alla parte non abbiente l'effettività del diritto di difesa e l'altra ad attribuire al difensore un diritto in "rem propriam" -, con la conseguenza che il difensore è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo all'assistenza dello Stato per le spese del processo, potendo la rinuncia allo stesso provenire solo dal titolare del beneficio, e tenuto conto, peraltro, che l'istituto del gratuito patrocinio è revocabile solo nelle tre ipotesi tipizzate nell'art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002, norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente.
Il terzo motivo di ricorso che denuncia la violazione degli artt. 158 cpc. e 170 t.u.s.g. e 15 d.lgs. n.150/2011, perchè il Tribunale si è pronunciato sull'opposizione in composizione collegiale e non monocratica, è fondato giacchè la pronuncia sull'opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002,
spetta alla competenza funzionale di un giudice monocratico del Tribunale o della Corte d'appello cui appartiene il magistrato che ha emanato il provvedimento di liquidazione oggetto di impugnazione, da identificare con il Presidente del medesimo ufficio giudiziario o con un giudice da questo delegato, sicché la decisione assunta dal tribunale in composizione collegiale è nulla per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c., in quanto esplicazione di funzioni decisorie da parte di magistrati ai quali le stesse non sono attribuite dalla legge (Cass. Sez. 6 - 2, 25/07/2017, n. 18343; Cass. Sez. 2, 12/09/2019, n. 22795).

Cass. Sez VIciv ord n. 18751 pubbl 10 giu 2022

La Corte d'appello di Trento, su segnalazione dell'Agenzia delle Entrate, revocava l'ammissione al gratuito patrocinio del ricorrente, disposta in relazione a un giudizio civile.
L'opposizione proposta avverso tale provvedimento veniva accolta con compensazione delle spese di giudizio dell'interessato
La Corte di Cassazione, investita del ricorso unicamente in punto di compensazione delle spese, lo accoglie in virtù del seguente principio sancito già nelle precedenti decisioni. nn. 3977/2020 e 4696/2019 “ai sensi dell'art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell'eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall'art. 92, comma 2, c.p.c."
Si chiarisce che «in tema di spese giudiziali, ai sensi dell'art 92 c.p.c., nella formulazione vigente ratione temporis, le "gravi ed eccezionali ragioni", da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o
aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica inidonea a consentire il necessario controllo (Cass. n.22310/2017).
Si chiarisce ancora che le "gravi ed eccezionali ragioni", che il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale (Cass. n. 1950/2022), non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi il vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (Cass. n. 9977/2019; n. 2206/2019).
Nel caso di specie non sono state ritenute ragioni idonee a giustificare la compensazione delle spese di lite, effettivamente illogiche in quanto non coerenti con il contenuto della decisione:
a) la mancata presentazione delle dichiarazioni reddituali che, come peraltro ammesso dal giudice dell'opposizione, non incide sui presupposti dell'ammissione al patrocinio;
b) la mancata cooperazione dell'interessato quanto all'accertamento della natura pertinenziale del terreno, giacchè tale circostanza si è rivelata priva di rilevanza a questi effetti, in presenza della statuizione finale del giudice dell'opposizione totalmente favorevole per l'istante;
c) riguardo all'indicazione di un parametro reddituale erroneo, tale indicazione, in presenza di accoglimento integrale dell'opposizione, non introduce una ragione di soccombenza parziale, che ricorre quando la domanda sia stata accolta in parte e non quando la parte vittoriosa abbia avuto torto su singole eccezioni (vale il principio secondo cui "in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all'esito finale della lite, sicché è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale o anche di merito": Cass. n. 18503/2014; cfr. n. 5373/2003; n. 10685/2019);
d) il riferimento, in presenza del riscontro della fondatezza della pretesa, alla sproporzione fra l'attività giudiziale dispiegata nel caso di specie e il valore della controversia, che si assume implicitamente tale da non giustificare un iter così complesso e articolato della controversia.

Cass sez VIciv ord n. 18748 pubbl 10 giu 2022

La Corte d'appello aveva negato la liquidazione del compensi deldifensore sulla base del rilievo che «non risulta documentata l'attività difensiva per la quale viene richiesta la liquidazione del compenso, mancando in atti l'atto di appello e il verbale di udienza di discussione onde nessuna liquidazione compete al difensore, non essendo a tal fine idonea la dichiarazione ed autocertificazione dell'attività svolta contenuta nell'istanza»
Il provvedimento veniva impugnato innanzi al Presidente della Corte, che rigettava l'opposizione, perché «il ricorrente non ha prodotto il decreto di ammissione al beneficio del gratuito Patrocinio».
La Corte di Cassazione, investita della questione, richiama il seguente principio di diritto:
In tema di opposizione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso professionale in regime di patrocinio a spese dello Stato, il giudice di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011 ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, dovendo la locuzione "può", contenuta in tale norma, essere intesa non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere di decidere causa cognita, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova (Cass. n. 23133/2021).

Cass sez VI-2civ ord. n. 17686 pubbl 31 mag 2022

L'art. 136, 2° co., del testo unico sulle spese di giustizia stabilisce che l'ammissione al gratuito patrocinio disposta provvisoriamente dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati è revocata se risulta l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione (modifiche reddituali), ovvero se l'ammesso al beneficio del gratuito patrocinio ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. Qual è l'interpretazione che la Cassazione reputa più confacente all'ordito normativo?
Il punto della Cassazione Civile in ordine ai requisiti per la revoca da parte del giudice
che ricorda che "in materia il legislatore ha previsto sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza, sia la revoca, ex post, dell'ammissione al beneficio, se risulta provato che la persona ha agito o resistito con malafede o colpa grave (Corte Cost. n. 220/2009)".
Con l'ordinanza n. 220 dell'8 luglio 2009, depositata il 17 luglio 2009, la Consulta ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione posta dal Tribunale di Ascoli Piceno dal momento che l'art. 122 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve contenere a pena di inammissibilità "le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere".
Il legislatore ha previsto un duplice meccanismo e cioè una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (da compiersi al momento della presentazione della domanda, con rigetto della stessa nei casi in cui, sia dall'origine, l'istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata); sia la revoca, ex post, della ammissione al beneficio quando, a seguito del giudizio, risulta provato che la persona ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave.
Secondo il recente orientamento della Corte, costituisce motivo di revoca dell'ammissione anche la rivalutazione giudiziale dell'iniziale giudizio prognostico sulla manifesta infondatezza della pretesa (Cass. n. 27203/2020; Cass. n. 20002/2020).
Lo scrutinio della Cassazione Civile concerneva una fattispecie in cui "dalla sintetica motivazione del provvedimento sembra emergere che la revoca sia stata giustificata a causa della carenza dei requisiti dell'iniziale istanza rivolta al Consiglio dell'Ordine, sotto il profilo della insufficiente indicazione dei mezzi di prova, a prescindere dal riscontro del dolo o della colpa grave o della manifesta infondatezza della pretesa".
La Corte di Cassazione ha accolto la doglianza cassando l'ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame al Tribunale di Macerata in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Come ha sottolineato la S.C., "nel provvedimento impugnato, peraltro, neanche si indica l'esito del giudizio, mentre nel ricorso si precisa che l'istanza di separazione personale, proposta dall'attuale ricorrente, provvisoriamente ammessa al gratuito patrocinio, è stata accolta".

Cass sez IVpen. sent. n. 21313 pubbl 19 mag 2022

Il Tribunale di Roma rigettava l'opposizione proposta avverso il provvedimento con il quale l'istanza di ammissione di XX al beneficio del patrocinio a spese dello Stato era stata dichiarata inammissibile dal giudice procedente nell'ambito di un procedimento penale, per essere stata l'autocertificazione della situazione reddituale non rispondente ai requisiti previsti dal disposto di cui agli artt. 79, comma 1, lett. c) e 76,d.P.R. n. 115/2002 cit...
L'istante aveva indicato il reddito percepito nell'anno 2019, laddove, secondo il Tribunale, la legge prevede che si alleghi quello relativo all'ultimo periodo d'imposta dichiarabile, ossia quello per il quale sia già decorso il termine per presentare la dichiarazione e,quindi, nel caso in esame, quello del 2018.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, osservando quanto segue:

Per l'ammissione al beneficio del patrocinio dello Stato per i non abbienti, l'ultima dichiarazione per la individuazione del reddito rilevante a norma dell'art. 76 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è quella per la quale è maturato, al momento del deposito dell'istanza, l'obbligo di presentazione, anche se materialmente non presentata (Cass. sez. 4, n. 15694 del 17/1/2020).

In quella sede, tenuto conto del tenore letterale della norma, il giudice di,legittimità si è effettivamente posto il problema di stabilire se per "ultima dichiarazione" debba intendersi l'ultima presentata o quella relativamente alla quale sia sorto l'obbligo di presentazione, pur se ancora materialmente non presentata e, rinviando alla giurisprudenza sul punto, ha affermato il su esteso principio in quanto rispondente alla ratio della previsione normativa, quella cioè di ancorare il dato in maniera cronologicamente più prossima alla presentazione della istanza di ammissione al beneficio e di garantire, dunque, la coincidenza fra le dichiarazioni in essa contenute e le condizioni reddituali del soggetto rilevando che se il reddito da indicare fosse quello risultante dall'ultima dichiarazione presentata, lo iato cronologico fra il momento di presentazione di quest'ultima e quello di deposito dell'istanza potrebbe determinare l'ammissione al beneficio di un soggetto che in passato versava effettivamente in condizioni reddituali tali da consentirgli di fruire del beneficio, ma che - al momento del deposito dell'istanza e dell'autocertificazione, in conseguenza di variazioni reddituali in melius – non abbia più diritto al patrocinio;

E' ermeneuticamente corretto attribuire all'espressione "reddito imponibile ... , risultante dall'ultima dichiarazione" il significato di reddito che verrà indicato nella dichiarazione e che quindi "risulterà" dalla dichiarazione stessa, all'esito della sua presentazione;

Nel caso in esame, l'istanza era stata presentata all'udienza del giugno 2020, pertanto quando già era maturato l'obbligo di presentare la dichiarazione per il 2019.
Da ciò discende che redditi da indicare erano quelli del 2019.

Cassaz sez VIciv ord. n. 14085 pubbl. 4 mag 2022

“L'Avv. Paola Armellin ha chiesto la liquidazione del compenso per la difesa d’ufficio di Ammary Badreddine, nel giudizio penale n. 13054/2010 R.G. svoltosi dinanzi a questa Corte di Cassazione.
La ricorrente aveva agito dinanzi al giudice di pace, ottenendo la condanna dell’assistita al pagamento del compenso, ed aveva esperito senza esito una procedura esecutiva. Aveva poi proposto un’istanza di liquidazione dell'onorario che la Corte d’appello di Torino ha respinto, rilevando che il ricorso in cassazione era stato dichiarato inammissibile.
L’avv. Armellin ha impugnato il decreto di rigetto ai sensi dell’art. 170 D.P.R. 115/2002, ma il giudice distrettuale ha confermato il provvedimento, affermando che l’art. 106 D.P.R. 115/2002, che
dichiara non liquidabili gli onorari ai difensori per ricorsi dichiarati inammissibili, si applica anche al difensore di ufficio”.
Il motivo del ricorso è fondato.
“L’art. 106 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede, che "il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili".
Questa Corte ha già chiarito che la norma riguarda esclusivamente il compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e non si applica al difensore d'ufficio.
In primo luogo, il Titolo III della parte III del D.P.R. 115/2002 prevede l’estensione, solo a limitati effetti, della disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevista per il processo penale ed inoltre il successivo l’art. 116 del citato decreto si limita a disporre che "l'onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio sono liquidati dal magistrato, nella misura e con le modalità previste dall'art. 82 ed è ammessa opposizione ai sensi dell'art. 84" mentre lo Stato, che ha evidentemente l'obbligo di versare al difensore le somme così liquidate, ha il diritto "di ripetere le somme anticipate, a meno che la persona assistita dal difensore d'ufficio non chiede ed ottiene l'ammissione al patrocinio”, circoscrivendo in tal modo il novero delle disposizioni suscettibili di applicazione alla difesa
d’ufficio, senza contemplare anche l’art. 106 del citato decreto.
In definitiva, risultano applicabili al difensore d’ufficio le sole previsioni del patrocinio a spese dello Stato che regolano le forme e le modalità di calcolo della liquidazione, "quando il difensore
dimostri di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali" (Cass. 32764/2019).

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